Cassette e nastri magnetici

Le registrazioni al tempo dell'analogico

Le cassette con i successi degli anni '80

Un tempo, il digitale non esisteva e tutto era analogico: analogico il vinile, analogico il nastro magnetico.

Un valido sostituto delle grandi bobine, piuttosto scomode, è stata per molti anni la «cassetta» inventata nel 1962 da Lou Ottens, un ingegnere olandese della Philips, stanco dei appunto dei problemi legati alle grosse e poco maneggevoli «bobine».

La cassetta rappresenta la «campionessa» per la registrazione dei suoni grazie alle due bobine in essa contenute che, a seconda della lunghezza, le conferivano il caratteristico nome di C30 (trenta minuti, 15 per lato), la diffusa C60 (30 minuti per lato) e le lunghissime e facilmente ingarbugliabili C90 (45 minuti per lato) e C120 (da due ore!). Le bobine erano costituite da un sottile nastro largo appena 4 millimetri: un millimetro per ogni traccia in esso registrata. In pratica due coppie di tracce (canale destro e sinistro) per i due lati della cassetta.

Le C90 e le C120, ricordo, erano quelle che si inceppavano spesso, proprio a causa della «pesantezza» della stessa bobina che affaticava il sistema di trascinamento, particolare -questo- che faceva propendere per le C60 che rappresentavano un'ottimo compromesso.

Come funziona una cassetta a nastro magnetico

Varie cassette audio

Una cassetta a nastro magnetico è un dispositivo analogico che permette di registrare e riprodurre suoni sfruttando le proprietà magnetiche di un sottile nastro di plastica sulla cui faccia è spalmata una sostanza in grado di magnetizzarsi, registrando un lieve campo magnetico; chiaramente, il principio di funzionamento spiegato qui era mutuato dagli altri sistemi a bobine di nastro magnetico, la cui invenzione risale al 1928 quando Fritz Pleumer la brevettò. Successivamente, nel 1933, la BASF commercializzò il primo «Magnetophon» che rendeva l'invenzione accessibile a molti; la cassetta, di cui parliamo, nacque, invece, quasi trenta anni dopo.

A questo punto, vediamo, di seguito, come avviene il processo di registrazione e lettura della nostra cassetta, basato su tre elementi fondamentali, corrispondenti ai tre «buchi» sul lato del supporto che saranno occupati dalla testina di cancellazione, dalla testina di lettura/scrittura e dal capstain che faceva parte del meccanismo di trascinamento del nastro.

Il nastro più comune, ed anche più economico, era quello all'Ossido di Ferro (tipo I - Fe2O3); a questo si aggiunse, col tempo, il nastro di Tipo II al biossido di Cromo (CrO2) e poi il Tipo II al «Ferrocromo», in grado di garantire una migliore risposta alle alte frequenze. Infine, c'erano i nastri «Metal» (Tipo IV) più costosi degli altri e quindi, da noi, all'epoca, poco usati.

La fase di Registrazione

Quando si registra un suono, il microfono cattura le onde sonore e le converte in un segnale elettrico; successivamente un apposito circuito le amplifica e le invia alla testina di registrazione che imprime, sul sottile film di plastica reso magnetico da una specie di vernice a base di ferro, il campo magnetico a seconda della sua intensità. Il nastro magnetico, quindi, passando davanti alla testina, viene magnetizzato in modo proporzionale all'intensità del segnale elettrico: in pratica, le variazioni del segnale elettrico creano un'impronta magnetica variabile sul nastro, che conserva, in questo modo, l'audio originale.

La fase di Riproduzione

Revox e le cassette

Quando si vuole riascoltare la registrazione, il nastro viene nuovamente passato davanti alla testina di lettura, spesso tenuta separata da quella di registrazione. La testina legge l'impronta magnetica sul nastro mentre gli scorre davanti e la riconverte nel segnale elettrico di partenza.

Questo segnale elettrico viene poi amplificato e inviato agli altoparlanti, che lo trasformano in onde sonore udibili riproducendo il movimento sui coni di carta (o altro materiale) solidali alle bobine, libere di muoversi in un magnete permanente.

Come detto, il nastro usato nelle musicassette ha la larghezza di 4 millimetri e permette di ospitare due tracce (i due canali destro e siniatro) per ogni «lato» di riproduzione: terminata la prima facciata, infatti, bastava girare la cassetta per farla riavvolgere, mentre riproduceva il suono, dall'altra parte. Altri nastri magnetici potevano essere ben più larghi, coerentemente con il numero di tracce che erano in grado di contenere ed essere, ugualmente, reversibili.

Il suono di una musicassetta

Qualcuno definisce il suono delle musicassette «caldo»... Tuttavia, questo sistema aveva evidenti limiti.

Uno fra tutti, le distorsioni che il segnale registrato subiva sia per la limitatezza della tecnica (che non poteva registrare, in molti casi, oltre i 13/15 KHz), sia per questioni «meccaniche» (problemi di trascinamento del nastro), inceppamenti e rallentamenti dovuti a riavvolgimenti «errati» della bobina. Non trascurabile era il «consumo» dello strato magnetizzabile che rovinava, definitivamente, la registrazione.

Il rumore di fondo era poi la vera tragedia: il suono presentava un fruscìo evidente che si amplificava ogni volta che una cassetta veniva duplicata dalla sua copia. In generale, si copiava su una cassetta il vinile ma non si ricopiava quasi mai da una cassetta: insomma, una specie di «protezione dalla copia» intrinseca nel mezzo Risata

A differenza dei moderni formati digitali, inoltre, le cassette hanno delle limitazioni intrinseche in termini di dinamica e frequenza di risposta, che influenzano la percezione del suono: questo ha provocato la nascita di vari sistemi di riduzione del rumore, migliorati nel corso del tempo.

I miei ricordi

Un bobinone Philips da rack

Le cassette erano ovunque: nelle radio si usavano per registrare le trasmissioni da rimandare in differita, registrare la pubblicità (abilmente realizzata bloccando il registratore con la pausa, rigorosamente meccanica) al posto dei moderni registratori software multitraccia. In extremis, prima dei «bobinoni» qualcuno, su dispositivi autoreverse, le usava per trasmettere la notte la musica per tenere occupata la frequenza.

Poi arrivarono le bobine da ben 7 ore: tre ore e mezzo per lato, che i collaboratori delle radio, a turno, registravano per la notte quando, in studio, non c'era nessuno. Ricordo che si passavano diverse ore a mettere dischi, completandoli con gli stacchi di autopromozione della radio: sul bobinone si scriveva la data per poi ri-registrarlo, quando erano passati alcuni mesi, con la musica più nuova... Adesso non più: pensa a tutto la «regia automatica» che, con opportuna programmazione, sostituisce l'uomo anche in questo.

Ci fu anche un periodo in cui i programmi arrivavano in cassetta, realizzati da appositi studi di produzione: ne arrivavano tanti e, una volta mandato in onda il programma, si riutilizzava la cassetta per registrarci ciò che si voleva, dato che non veniva restituita.

Il «riciclo» era d'obbligo...

Un ringraziamento al mio amico Piero

Come nel caso della pagina dedicata al vinile, voglio ringraziare, per le foto, il mio amico Piero Marcianò, Direttore di Radio Happy Days e grande voce anche di Radio Skylab che mi ha permesso di arricchire con belle immagini questa pagina.

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