Il Telegrafo Napoleonico o Chappe
Curiosità: alla «Corte del Telegrafo ad Asta»
Passeggiando tra le vie del centro storico di Lecce, ci si può imbattere in una corte dalla strana denominazione:

Si tratta di una strada (in realtà, una corte, tipico elemento urbanistico delle città mediterranee) che evoca la realizzazione, a Lecce, della prima stazione telegrafica fatta non con il classico telegrafo elettrico di Morse ma mediante la costruzione di un impianto "semaforico" atto alla trasmissione a distanza di "glifi" che, opportunamente interpretati, consentivano di trasmettere dispacci a lunga distanza.
Fu una grande invenzione: di essa ne scrisse anche Alessandro Dumas. Leggiamo la descrizione che ne fa:
«Eh! mio Dio, sì, un telegrafo. Ho veduto qualche volta in capo di una strada sopra un poggio, un giorno di bel sole, innalzarsi queste braccia nere e snodate, simili alle zampe di una immensa coleoptra, e ciò non fu mai senza emozione, ve lo giuro, perché pensava che questi segni bizzarri fendendo l'aria con precisione, e portando a trecento leghe la volontà sconosciuta di un uomo assiso ad una tavola ad un altr'uomo assiso all'estremità della linea davanti ad un'altra tavola, si disegnavano o sul grigio della nuvola, o sull'azzurro dei cieli per la sola forza del volere di questo capo possente. Allora io credeva ai geni, alle silfidi, ai folletti, infine a tutti i poteri occulti, e rideva. Ora, non mi era mai venuta la volontà di vedere da vicino questi grossi insetti dal ventre bianco, dalle zampe nere e magre, perché temeva di ritrovare sotto le loro ali di pietra il piccolo genio umano, ben saputo, bene imburrato di scienza, di cabala, o di cancelleria. Ma ecco che un bel mattino intesi che il motore di ciascun telegrafo era un povero diavolo d'impiegato a 1200 franchi l'anno, occupato tutto il giorno a guardare, non il cielo come l'astronomo, non l'acqua come il pescatore, non il paesaggio come un cervello vòto; ma invece l'insetto dal ventre bianco e dalle zampe nere, suo corrispondente, situato 4, o 5 leghe lontano da lui. Allora mi son sentito prendere da un desiderio curioso di vedere da vicino questa crisalide vivente, e di assistere alla commedia che dal fondo della sua buccia ella dà all'altra crisalide tirandogli uno dopo gli altri alcuni capi della cordicella.»

Questo testo sul telegrafo ad asta è tratto dal 59.mo capitolo del "Conte di Montecristo", romanzo scritto dopo la fine dell'impero napoleonico e pubblicato a partire dal 1844 da Alessandro Dumas "padre" ed ispirato dalla vicenda del proprio genitore che, di ritorno dalla campagna militare napoleonica in Egitto del 1799, fu costretto ad attraccare a Taranto da una tempesta e, nella città ionica, finì carcerato sull'isola di San Pietro. Il romanzo è ambientato tra il 1833 ed il 1838 ed, in questa occasione, il telegrafo è usato dal protagonista per porre in atto la propria personale vendetta, «hackerandone» la trasmissione dopo aver corrotto, con ben 35.000 franchi l'addetto alle trasmissioni...
Un telegrafo, stando alla descrizione fornita, molto diverso da quello di Samuel Morse ma che, comunque, garantiva la comunicazione tra due punti distanti tra di loro grazie alla ripetizione del messaggio attraverso diverse stazioni sparse sul territorio e, come i moderni "ripetitori radio", dislocate su torri, palazzi, colline e montagne.

Fu una invenzione tutta francese, realizzata da Claude Chappe ed i suoi tre fratelli e, per questo, chiamata «Telegrafo Chappe» o, anche, «Telegrafo Napoleonico», dato che l'imperatore ne fece grande uso. I "Chappisti" erano i "Telegrafisti" del tempo...
Senza luce, non funziona...
Ma il sistema aveva un grosso limite: al buio non era in grado di funzionare.
Ed ecco che, sui manuali del tempo, compaiono alcune interessanti modifiche, come quella che vedere il telegrafo ad asta illuminato da almeno quattro lanterne; grazie a questa semplice modifica, anche al buio, si poteva trasmettere:

Il telegrafo Chappe a Lecce
Anche Lecce, capoluogo del Salento e parte, attraverso il Regno di Napoli governato dai re napoleonici (prima Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat), del grande impero francese, si dotò della propria, moderna (per quei tempi), installazione telegrafica.
Le grandi "braccia" del telegrafo si stagliavano nel cielo leccese dal campanile della chiesa di Sant'Irene, il cui convento, appartenuto ai Teatini e posto nel centro esatto della città, era stato requisito dai militari francesi e divenuto loro caserma.
Dal campanile partivano i dispacci diretti a Napoli ed a Parigi ed informavano, con una velocità incredibile per quei tempi, sugli accadimenti di uno dei luoghi più lontani del dominio napoleonico.